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Evangelista
Torricelli
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DOCUMENTS
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Lettera
a Michelangelo Ricci 11 giugno 1644
(1), (2) |
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| TORRICELLI
a [MICHELANGELO RICCI in Roma]
[Firenze], 11 giugno I644 |
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Molto Ill.re Sig.re Padron mio Col.mo
Mandai queste settimane passate alcune mie dimostrazioni sopra lo
spazio della Cicloide al Sig.r Antonio Nardi, con pregarlo che dopo
haverle vedute le inviasse a drittura a V. S. o pure al Sig.r Magiotti.
Le accennai già che si stava facendo non so che sperienza
filosofica intorno al vacuo, non per far semplicemente il vacuo, ma per
far uno strumento che mostrasse le mutuazioni dell'aria, hora
più grave e grossa, et hor più leggiera e
sottile. Molti
hanno detto che il vacuo non si dia, altri che si dia, ma con
repugnanza della natura e con fatica; non so già che alcuno
habbia detto che si dia senza fatica e senza resistenza della natura.
Io discorreva così: se trovassi una causa manifestissima,
dalla quale derivi quella resistenza che si sente nel voler fare il
vacuo, indarno mi pare si cercherebbe di attribuire al vacuo quella
operazione, che deriva apertamente da altra cagione, anzi che, facendo
certi calcoli facilissimi, io trovo che la causa da me addotta
(cioè il peso dell'aria) doverebbe per sé sola
far
maggior contrasto che ella non fa nel tentarsi il vacuo. Dico
ciò perché qualche Filosofo, vedendo di non poter
fuggire
questa confessione, che la gravità dell'aria cagioni la
repugnanza che si sente nel fare il vacuo, non dicesse di concedere
l'operazione del peso aereo ma persistesse nell'asseverare che anche la
natura concorre a repugnare al vacuo. Noi viviamo sommersi nel fondo
d'un pelago d'aria elementare, la quale per esperienze indubitate si sa
che pesa, e tanto che questa grossissima vicino alla superficie
terrena, pesa circa la quattrocentesima parte del peso dell'acqua. Gli
Autori poi de' crepuscoli hanno osservato che l'aria vaporosa e
visibile si alza sopra di noi intorno a cinquanta, overo cinquanta
quattro miglia, ma io non credo tanto, perché mostrerei, che
il
vacuo doverebbe far molto maggior resistenza che non fa, se bene vi
è per loro il ripiego che quel peso scritto dal Galileo
s'intenda dell'aria bassissima che ve praticano per l'homini e gli
animali, ma che sopra le cime degl' alti monti l'aria cominci ad esser
purissima e di molto minor peso che la 1/400 parte del peso dell'acqua.
Noi habbiamo fatti molti vasi di vetro et anco come i seguenti, segnati
A et B, grossi e di collo lungo due braccia, questi pieni d'argento
vivo, poi serratagli con un dito la bocca e rivoltati in un vaso dove
era l'argento vivo C, si vedevano votarsi e non succeder niente nel
vaso che si votava; il collo però AD restava sempre pieno
all'altezza d'un braccio e 1/4, et un dito di più.
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Per mostrar che il vaso
fusse perfettamente voto, si riempiva la catinella sottoposta d'acqua
fino in D et alzando il vaso a poco a poco, si vedeva, quando la bocca
del vaso arrivava all'acqua, descender quell'argento vivo dal collo, e
riempirsi con impeto orribile d'acqua fino al segno E affatto.
Il discorso si faceva mentre il vaso AE stava voto
e l'argento
vivo si sosteneva benché gravissimamente nel collo AC,
questa
forza, che regge quell'argento vivo contro la sua naturalezza di
ricader giù, si è veduto fino adesso che sia
stata
interna nel vaso AE, o di vacuo, o di quella roba sommamente rarefatta;
ma io pretendo, che la sia esterna e che la forza venga di fuori. Su la
superficie del liquore che è nella catinella gravita
l'altezza
di cinquanta miglia d'aria; però qual maraviglia
è se nel
vetro CE, dove l'argento vivo non ha inclinazione,
nè
anco repugnanza per non esservi nulla, entri e vi s'innalzi fin tanto,
che si equilibri colla gravità dell'aria esterna, che lo
spinge?
L'acqua poi in un vaso simile, ma molto più lungo,
salirà
quasi fino a diciotto braccia, cioè tanto più
dell'argento vivo, quanto più l'argento vivo è
più
grave dell'acqua, per equilibrarsi con la medesima cagione che spinge e
l'uno e l'altro.Confermava il discorso l'esperienza fatta nel medesimo
tempo col vaso A e colla canna B, ne'
quali l'argento
vivo si fermava sempre nel medesimo orizonte AB segno
quasi
certo che la virtù non era dentro; perché
più
forza averebbe avuto il vaso AE, dove era
più roba
rarefatta e attraente, e molto più gagliarda per la
rarefattione
maggiore che quella del pochissimo spatio B. |
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| | Ho poi cercato di salvar con
quesdto principio tutte le sorte di repugnanze che sentono nelli varii
effetti attribuiti al vacuo, nè vi ho fin' hora incontrato
cosa
che non cammini bene. So che a V. S. sovverranno molte obbiezzioni, ma
spero anche che pensandovi le sopirà. La mia intenzione
principale poi non è potuta riuscire, cioè di
conoscer
quando l'aria fusse più grossa e grave e quando
più
sottile e leggiera collo strumento EC, perché il livello AB
si
muta per un'altra causa (che io non credevo mai) cioè per il
caldo e freddo e molto sensibilmente, apunto come se il vaso AE fusse
pieno d'aria.
11 giugno 1644 Di V. S. M.to
Ill.re
Dev.mo e Obbg.mo
Se.
V. Torricelli | |
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Note: (1) Istituto e
Museo di
Storia della Scienza, Firenze, Italia(2) In
OPERE DEI DISCEPOLI DI GALILEO, Carteggio
1642-1648, a cura di P. Galluzzi e M. Torrini, Firenze
Giunti-Barbera 1975, Vol. I, pp. 122, 123 |
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